martedì 31 luglio 2012

Torino scomparsa: il Monastero delle Monache Turchine dell'Annunziata


Il seguente brano è tratto da un articolo di  Carlo Balma Mion Un altare ritrovato di Mario Ludovico Quarini:Dalla chiesa del monastero dell’Annunziata di Torino alla parrocchiale di San Maurizio Canavese pubblicato nel 2009 sul Bolletino della Società Piemontese di Archeologia e Belle Arti, Nuova Serie – LIX – LX, 2008 - 2009
 
La soppressione delle corporazioni religiose, «pericolose per la società per i principi che seguono, e inutili in un Governo in cui le pratiche religiose sono ridotte alla primitiva semplicità», durante il periodo napoleonico 
portò alla dispersione di molti degli arredi fissi e mobili che ornavano gli edifici appartenenti a ordini monasticicongregazioni e confraternite religiose.Il monastero torinese delle monache dell’Annunziata, chiamate anche Celestine o Turchine fu uno degli edificiche vennero spogliati per trasferire gli arredi nelle chiese della 
provincia: tra queste figura anche la parrocchiale di San Maurizio Canavese che ricevette gratuitamente un 
altare di marmo con ciborio e cornice per l’ancona con due angeli lignei al di sopra, due balaustre in legno, 
due piccole vasche in pietra di Gassino per l’acqua benedetta e due angeli lignei di grandezza quasi naturale. La descrizione precisa della donazione forzata a favore della chiesa di San Maurizio, contenuta nel verbale 
del  Visiteur des Batiments Nationaux  unitamente al procés verbal e all’inventario redatti al momento 
della confisca dei beni, forniscono un’accurata descrizione degli arredi mobili e immobili e delle proprietà del convento soppresso. Questo si trovava all’incrocio delle attuali vie Giolitti e Carlo Alberto e dava il nome 
all’intero isolato, edificato nell’ambito del primo ampliamento di Torino, iniziato negli anni Venti del XVII 
secolo. La chiesa, il cui alto tamburo della cupola è ben riconoscibile nella veduta a volo d’uccello della città 
contenuta nel  Theatrum Sabaudiae rappresenta il primo progetto torinese conosciuto di Francesco 
Lanfranchi; eretta nel 1632 grazie alla munificenza di Vittorio Amedeo I come ringraziamento per la feconditàdella moglie Cristina di Francia, venne affidata alle suore da lei chiamate dalla Borgogna, ma consacrata 
soltanto oltre un secolo più tardi, il 9 luglio 1742, essendo arcivescovo di Torino Giovanbattista Roero e 
abbadessa del monastero Maria Diodata de’ Beggiami; è possibile tentarne una ricostruzione planimetrica 
confrontando alcune delle mappe più dettagliate della Torino sei e settecentesca e quella proposta in Forma urbana e architettura nella Torino barocca. L’edificio lanfranchiano paragonabile per impianto planimetrico 
alla Chiesa della Visitazione  ancora oggi visibile all’angolo tra via XX Settembre e via Arcivescovado) 
aveva pianta a croce greca, sul retro della quale era posto un coro di forma quadrangolare; i bracci della 
croce greca erano costituiti dall’ingresso, dall’altar maggiore e dagli altri due altari  dedicati rispettivamente alCrocifisso (a sinistra) e a San Giuseppe (a destra); dal verbale di consegna degli arredi veniamo poi a 
conoscenza del fatto che la chiesa era dotata di due sacrestie, una alta e una bassa. L’altare maggiore 
seicentesco, precedente agli interventi di rivestimento marmoreo, era invece con ogni probabilità simile agli 
altari laterali, cioè formato da colonne scolpite di legno con decorazioni a finti marmi. La parete di fondo era arricchita da una grande ancona dedicata all’Annunziata posta entro una doppia cornice, dorata quella più 
interna e di marmo quella più esterna; essa era sormontata da una coppia di angeli che reggevano una corona con il cartiglio “ECCE ANCILLA DOMINI”, e che come tutte le sculture che ornano oggi l’altare di San Maurizio, erano in legno laccato di bianco ad imitazione del marmo; al di sotto della piccola cupola 
dell’altare maggiore era posizionato un crocifisso di legno nero con il Cristo di avorio. Otto candelieri di media grandezza e altre suppellettili completavano l’arredo dell’altare che, secondo il disegno di Quarini e per rispetto della clausura delle monache, era caratterizzato da due aperture laterali grigliate che permettevano la 
partecipazione delle religiose al sacramento dell’Eucaristia, e da una terza apertura più grande (anch’essa 
grigliata) sopra la mensa che permetteva loro di osservare il celebrante e il Santissimo durante la celebrazione. Una balaustra aperta formata di vari marmi separava la chiesa dal coro. La chiesa infine era adornata tutto 
intorno da venti statue di legno laccato di bianco rappresentanti quattro angeli, i dodici Apostoli, 
sant’Agostino, sant’Ignazio, sant’Anna, san Gioacchino e da otto putti posati sugli altari delle cappelle laterali.

lunedì 9 luglio 2012

Liceo Galileo Ferraris Torino. 1965: il Professor Manghi


La notizia della morte del Prof. Manghi l'ho appresa da un breve annuncio su La Stampa del 19 novembre. Mi è spiaciuto molto perche' era una di quelle persone che negli anni avrei voluto rivedere e ritrovare nei gesti e nelle parole. L'avevo cercato sul web anni fa ma non ero approdato a nulla...
1964 circa, Liceo G Ferraris di Torino, era entrato in classe un uomo giovane con i capelli corti e lo sguardo penetrante. Abituati alle soporifere lezioni di italiano del professore titolare, assente per malattia, eravamo stati proiettati in un mondo nuovo, brillante e inaspettato, sulla scia del fiume di parole di questo nuovo insegnate. Ironia, sovvertimento dei ruoli, il tutto pero' controllato e finalizzato ad un progetto didattico originale. "A me gli occhi" diceva alzando le braccia in aria e aprendo e chiudendo le dita, lo sguardo fisso alla stranulata prima della classe che faticava a capire la portata dell'interrogazione. Un giorno arrivò in classe con un volumetto colorato, La strada di Swann, Mondadori, volume primo. Era l'inizio della mia conoscenza di Marcel Proust, che devo a lui. Finito l'anno scolastico, il professor Manghi e le sue fantasmagoriche lezioni si dissolsero nel nulla lasciando pero' un ricordo costante nel tempo. Son passati 45 anni e più anni e il circolo della memoria si chiude su questo breve annuncio del 19 novembre. Un po' di malinconia e tanta riconoscenza.
Torino, novembre 2009
Le scale

1965  II F


Il corridoio

Testimonianze da Facebook

Andrea Aghemo UN grande... col suo parlare sempre imitando i russi o al lunedì a leggere insieme le notizie del tuttosport sul toro!! E poi le partite a calcetto in classe con la pallina da tennis!
Io ho lavorato con Martino Manghi, il figlio per anni!! Incredibile, prima il padre prof e poi il figlio collega...

Andrea Aghemo Le notizie sono, purtroppo, che è stato colpito da demenza senile già da 3-4 anni, ed ora è ricoverato in un centro di ricovero... non riconosce quasi più nessun se non suo figlio ogni tanto. Ha perso quasi del tutto l'uso delle gambe.

Sandro Torasso Un inferno come il lunedì seguente lo storico derby del 3 a 2 del Toro sulla Juve !!
LUi entra come al solito con passo felpato e muto !
POi all'improvviso apre la valigetta e tira fuori una sciarpa granata e di lì in poi delirio puro !!!

Grande Manghi !!! Vecchio cuore granata!!!

Pellegrino Davide Il nonno. Oltte che il mio professore era un amico. Mi sono visto anche dopo gli anni della scuola con lui. Era una persona meravigliosa. Valorizzata da molti e derisa da quei pochi che non lo capivano, o forse invidiavano il suo modo di essere e di vivere. Un genio su molte. Nell orecchio ho ancora alcune sue espressioni indimenticabili. Un grande. Un uomo come lui doveva vivere altri duemila anni... Mi manca molto.
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L'Ospedale di San Salvario

Tutto ebbe inizio nel 1646 con la costruzione da parte del Castellamonte della chiesa di San Salvatore posta al termine del grande viale che partiva dal castello del Valentino dirigendosi ad ovest. Nel 1653 fu aggiunto il convento ed un ospedale. I Servi di Maria che vi si insediarono videro il loro ordine soppresso nel 1802 e riconfermato dopo la Restaurazione. Nel 1840 il convento su interessamento del Re Carlo Alberto venne ceduto alle Suore della Carità che vi aggiunsero una "infermeria di S. Vincenzo". Il sovrano stesso con ripetute elargizioni sostenne costantemente la struttura che negli anni si sviluppo fino a vedere la nascita di un vero e proprio ospedale. L'aumento della popolazione e lo sviluppo urbanistico che coinvolse al pari dell'intero tessuto urbano anche San Salvario, comportò sempre più la necessità di assistere persone bisognose che non potevano fruire della rete assistenziale della città. Nel 1839 vide la luce nell'ala nord del convento l'ospedale. Le suore svolgevano, oltre al vero e proprio ruolo di assistenza, anche un delicato e importante servizio di supporto ad altre realtà  del nascente tessuto sanitarie della città. Alcune furono destinate per esempio all'Istituto di Maternità di Torino, che in un primo tempo accoglieva soprattutto bambini abbandonati da madri in difficoltà. Convento ed ospedale negli anni videro confluire tra le proprie mura altre opere di assistenza ad infermi come l’Opera dei Convalescenti della Veneranda Confraternita della Santissima Trinità, istituita nel 1548 da San Filippo Neri. Il ruolo attivo delle Suore continuò in ogni settore: nel 1890 furono chiamate a prestare la loro assistenza all’ospedale Maria Vittoria, nel quale restarono fino al 1913. Nel 1916, iniziarono a prestare il loro servizio nell’Ospedale di San Vito, nel quale fu aperta, nel 1923, una scuola per Suore infermiere. Nel maggio del 1923 le Figlie della Carità vennero chiamate all’Ospedale Oftalmico

 

TORINO DESCRITTA DA PIETRO BARICCO 
TORINO
TIPOGRAFIA DI G. B. PARAVIA E COMP .
1869.
Ospedale di S. Salvario (via Nizza, n° 14). – Vicino alla chiesa detta di Salvario sorge un ampio edifizio dove ha sede la Casa centrale delle Figlie di Carità di S. Vincenzo. Da queste caritatevoli Suore è mantenuto fino dal 1840 uno spedale, nel quale vengono accolti infermi, i quali non essendo così poveri di mezzi di fortuna da dover ricorrere alla pubblica carità negli ospedali comuni, nè tanto agiati da potersi far curare in seno alle proprie famiglie, mediante una tenue pensione, ivi sono caritatevolmente assistiti e provveduti di cure.
Pagando L. 45 al mese il malato ha il letto nel camerine comune.
Pagando L. 55 è curato in una camera dove sono solo quattro letti.
Pagando L. 70 è tenuto in una camera separata.
I letti sono in numero di 85.
I malati sono curati da esperti cultori dell' arte medico chirurgica e sono assistiti dalle Figlie della Carità.
Si possono visitare i malati ogni giorno da mezzodì alle tre.

I bombardamenti dell'autunno  del '42 interessarono sia la "Congregazione delle Figlie di Carità di San Vincenzo de Paoli" in via Nizza 20, 22, 24, edificio costruito nel 1912, che l'"Ospedale San Salvario", in via Nizza 18, realizzato a metà del XIX secolo. I danni furono ingenti con crollo parziale dei tetti e danni ai muri. 

Sitografia

http://www.atlanteditorino.it/zone/sansalvatore.html

http://www.fdcsanvincenzo.it/le-figlie-della-carita-a-san-salvario/


(in costruzione)

sabato 7 luglio 2012

Le indagini del Maresciallo Odasso in Val di Susa Il delitto della cava (prima parte)


2 Giovedì 30 Marzo 1950 LA NUOVA STAMPA Anno VI - N. 78
 
Ancora avvolto nel mistero l'atroce delitto di Bussoleno Non è stata identificata la donna uccisa a colpi di pietra - Il fermo in Francia d'un giovane sospettato del delitto - Chiarito l'equivoco - Il giudice istruttore sul posto - L'autopsia.
 
Sembrava ieri mattina che i carabinieri avessero trovato una traccia che avrebbe potuto portare all'arresto di colui che assassinò la donna sconosciuta nella cava di pietre presso Bussoleno. Ed invece i carabinieri hanno accertato nello stesso pomeriggio di ieri che tale pista era errata. Ed ecco come gli investigatori erano giunti a dare un nuovo indirizzo alle ricerche. Era stato loro segnalato che un individuo dall'aspetto sconvolto, si era presentato nelle prime ore del mattino alla vicina stazione di Borgone per spedire una bicicletta per Bardonocchia. Nulla di strano in questo fatto se il maresciallo Odasso non avesse rilevato due circostanze interessantissime: i connotati dell'uomo e le caratteristiche della bicicletta fornite dall'impiegato della ferrovia sembravano corrispondere a quelle date dal geometra Ercole Prinetti, il quale, poco dopo le 21 di lunedi incontrò, sulla strada che porta alla cava, la donna che la mattina seguente fu trovata morta. La sconosciuta, preceduta di alcuni passi da un uomo, trascinava una bicicletta e reggeva con una mano una piccola valigia. L'uomo era di media statura, sui trentacinque uni, bruno e-cosi accuratamente pettinato, che si sarebbe detto uscito In quell'Istante dalle mani di un parrucchiere. Il maresciallo segnalava la scoperta alla polizia di Bardonecchla: ma ormai troppo tardi. Risultava infatti colà che la bicicletta era stata già ritirata dallo sconosciuto e rispedita per un paese vicino a Grenoble e che l'Individuo aveva varcato la frontiera con il treno delle ore 7,30. Dal canto loro 1 carabinieri della stazione di Susa all'ordine del capitano dottor Ridella e del maresciallo Di Llegro Si recavano Immediatamente prima a Bardonecchla e poi a Modano. Dopo molte ricerche durate tutta la giornata di ieri, l'Individuo è stato fermato a Mobiliano, paese situato a circa 500 km. dalla frontiera francese. Egli è risultato essere tale Andrea Viola, di 20 anni, impiegato in una ditta di Grenoble, giunto pochi giorni prima in Italia per visitare alcuni parenti che abitano a Villarfocchlardo. Il giovane si dimostrava molto sorpreso nel vedersi fermare dai carabinieri. «Io non ho fatto niente a nessuno! sono un onesto operaio! Che cosa volete da me?» continuava a ripetere. L'ufficiale cominciò con l'informarsi sul come egli aveva passato la notte di lunedì e la giornata di martedì. Le risposte del giovane erano sicure e pronte sicché 11 dubbio che potesse essere lui l'assassino cominciava a svanire. Quando poi il capitano gli mosse l'accusa «Tu hai ucciso una donna!» Il giovane rimase dapprima addirittura senza fiato, poi sbottò in una risata. «Ho quante testimonianze a mio favore volete per convincervi che non sono un assassino» esclamò e diede tutte le spiegazioni desiderate che poterono essere controllate quasi subito. Effettivamente aveva spedita una bicicletta, ma era quella di un amico, tale Carlo Montabone di 29 anni, residente pure lui in Francia e pure lui originario di Borgone, il quale lo aveva pregato di fargli tale favore. Svanita questa traccia, apparsa agli investigatori per un curioso cumulo di circostanze concomitanti, il delitto è ripiombato nel più profondo mistero. Tutto è strano in questo crimine, perfino 1l fatto che nessuno mai vide la donna prima della sera del delitto. Eppure a Bussoleno vi si doveva essere recata altre volte perchè tutto lascia supporre che essa trafficasse in merci di contrabbando e che la cava di Calusetto fosse 11 luogo abituale dei convegni con colui o coloro che dovevano poi trasportare tali merci a Torino. Le indagini sono proseguite per tutta la giornata di ieri senza interruzione e vi ha partecipato la Squadra Mobile di Torino che ha fatto eseguire da specialisti rilievi fotografici sul luogo del delitto e dattiloscopici. Questi verranno inviati anche a Roma all'ufficio segnaletico centrale. Se la donna ebbe già a rendere conto alla Giustizia di qualche reato, sia pur lieve, per mezzo delle impronte digitali e delle fotografie sarà senz'altro identificata. L'esame più accurato della cava di pietre ha intanto permesso di fare constatazioni di notevole importanza. Per prima cosa è stato accertato che la donna non fu uccisa vicino al luogo in cui fu ritrovata, ma parecchi metri più distante. Di qui fu trascinata fino alla grotta dove l'assassino pose, nel seppellirla, la massima cura. Infatti stese sul cadavere uno strato di sabbia, poi vi accumulò pietre; quindi vi gettò ancora più volte sabbia e pietre alternativamente. Più tardi la salma veniva scoperta, maggiori, è evidente, erano le probabilità per il criminale di assicurarsi l'impunità. A questo fine egli si preoccupò non soltanto di impossessarsi dei documenti della vittima, ma di cancellare le tracce di sangue. Queste erano abbondantissime e al chiarore lunare il delinquente cercò d'individuarle e vi gettò sopra sabbia. Senonchè non potè, data la debole visibilità e lo stato di orgasmo in cui doveva trovarsi, scorgere tutte le chiazze. Se queste pertanto sono molte e cosi ampie è arguibile che l'assassino doveva essere addirittura inzuppato del sangue della vittima. Non soltanto, infatti, doveva essere schizzato sui suoi abiti mentre tempestava il capo della disgraziata con una grossa pietra (ritrovata) ma doveva essere, pure colato sulle maniche della giacca mentre trascinava il cadavere verso la grotta. Si deve dedurre che consumato il crimine egli abbia preso la via dei campi e poi, lnforcata la bicicletta, si sia diretto a casa, probabilmente a Torino. In paese non deve essere passato perchè, con gli abiti cosi ridotti, non sarebbe transitato inosservato. L'autopsia del cadavere effettuata Ieri pomeriggio dalle ore 14 alle 16 nella cappella del cimitero di Bussoleno dal prof. Tovo alla presenza del sostituto Procuratore della Repubblica dott. Bianco ha dato questi risultati. La donna ha per lo meno cinquant’anni, è alta un metro e 55, è di costituzione esile e deve aver avuto un figlio. Celava un incipiente canizie con tintura nera. Sulle sue labbra vi erano ancora tracce di rossetto. Secondo la autopsia risulterebbe inoltre che la morte è stata causata dallo sfondamento dei parietali provocato da numerosi colpi inferti con un sasso. Dall'esame del visceri infine è risultato che la disgraziata aveva cenato regolarmente. Sull'ora del decesso il perito ritiene che debba farsi risalire a circa 16 ore prima. Ultimata l'autopsia il magistrato ha dato il nulla osta perchè la salma venga sepolta nello stesso cimitero di Bussoleno.

Mercoledì 29 Giovedì 30 Marzo 1950 NUOVA STAMPA SERA Anno IV Num. 74
 
LA DONNA UCCISA A BUSSOLENO VITTIMA DI UN TRAFFICO DI STUPEFACENTI
 
A Bussoleno, Susa, in tutta la Valle perdura viva l'impressione per la scoperta del cadavere di una donna massacrata a colpi di pietra e nascosta in una buca nei pressi di Calusetto. Il maresciallo Odasso della stazione dei carabinieri di Bussoleno ha continuato le indagini tanto per l'identificazione della vittima quanto per giungere ad una precisa ricostruzione dell'accaduto ed alla scoperta dell'assassino. Raccogliendo diverse deposizioni egli ha potuto intanto stabilire alcuni elementi molto importanti per la soluzione del mistero. Anzitutto i connotati e altre caratteristiche dell'uccisa: è una donna tra i quaranta e i quarantacinque anni, alta circa un metro e cinquantadue, capelli castano scuri con qualche ciocca grigia, molti denti finti. Porta all'anulare sinistro la fede di matrimonio e indossa, sotto un paltò verde a mezza vita, un giacchettino rosa e un foulard rosso a pallini bianchi. Ha scarpe di città, in camoscio colore marrone chiaro.

Saluto senza risposta
La donna venne vista per la prima volta in paese soltanto poche ore prima della sua morte. Una bimba di dieci anni, Maria Rosa Favro, tornando da scuola verso le 18 di lunedì, la notò lungo la strada che conduce alla cava. La sconosciuta spingeva con una mano la bicicletta e teneva nell'altra una valigia. Poca dopo la bimba, che abita ad un centinaio di metri dalla cava, la rivide nei pressi seduta su una grossa pietra come aspettasse qualcuno. E che attendesse una persona è confermato dai suoi successivi movimenti, quali risultano da altre deposizioni. Infatti, dopo aver atteso invano per qualche tempo, la donna scese in paese abbandonando alla cava la bicicletta e la valigia. La persona che essa attendeva forse doveva giungere con il treno delle ore 19 proveniente da Torino. Questo sarebbe provato dal particolare che la donna fu notata verso le 20,30 al Caffè Alpi nelle vicinanze dello scalo ferroviario. La vide il geometra Mario Suppo e la sua deposizione è confermata da un ferroviere rimasto colpito dall'aspetto equivoco della sconosciuta e dal suo andirivieni. Quello che attrasse l'attenzione del ferroviere fu non soltanto il non averla mai vista prima e il suo modo di vestire alquanto vistoso se pure tutt’altro che elegante, ma anche il suo atteggiamento guardingo e il fatto di essere uscita un paio di volte dal caffè per scrutare intorno certamente nella speranza di vedere colui che attendeva. Alle 21 giunse il treno da Bardonecchia, e un altro geometra, Ercole Prinetti di Calusetto, notò un individuo, a lui sconosciuto, con i capelli lisci bruni, senza berretto nè pastrano, che si incamminava lungo la strada per la cava. Il Prinetti, incrociandolo, gli rivolse un saluto, come è consuetudine in queste montagne, ma non ottenne risposta. Ritenne per questo trattarsi di un forestiero e s'avvide che a una diecina di passi di distanza l'uomo era seguito da una donna: la stessa notata dalla bimba presso la cava e dagli altri testimoni allo scalo ferroviario. A un certo punto l'uomo si fermò, accese una sigaretta e attese la donna che lo raggiunse subito. Uno scambio fra i due di frasi un poco concitate, delle quali peraltro non riuscì ad afferrare il senso, permise al Prinetti di notare che la donna parlava con un accento veneto.

Le spoglie depredate
A questo punto, mancando ulteriori testimonianze, entriamo nel terreno delle ipotesi. Ed ecco come possono essere ricostruiti i fatti secondo il maresciallo Odasso. La donna era evidentemente pratica dei luoghi: le sue mosse ne danno conferma. Alla cava non sarebbe giunta per la strada principale che si tiene a fondo valle, bensì seguendo una via secondaria a mezza costa che partendo dalla frontiera passa per Novalesa, Mompantero, Foresto e Calusetto e piega poi su Bussoleno. Non è da escludere che la donna fosse implicata in qualche faccenda di contrabbando e questo spiegherebbe l'itinerario seguito per giungere alla cava e la sua presenza in quei luoghi. Qui probabilmente avrebbe dovuto ricevere la sua parte di compenso anche per precedenti operazioni. Forse il suo complice non volle o non potè darle la somma pattuita e, minacciato dalla donna di una denuncia, decise di sopprimerla. Il resto è più facile da immaginare. L'uomo afferra la vittima, nasce una colluttazione e la sua robusta corporatura ha la meglio. La donna viene stordita con un colpo alla testa per impedire che possa gridare. Poi l'uomo, afferrata un grossa pietra del peso di almeno tre chili, le schiaccia la testa. Subito dopo, freddamente, si preoccupa di occultare in qualche modo il cadavere e soprattutto di rendere impossibile l'identificazione. Preleva infatti ogni documento ed oggetto, ma dimentica la fede matrimoniale, e si allontana con la borsa e la valigia della vittima, servendosi della bicicletta. E subito scompare probabilmente verso Torino.
Esistenza dì un complice
Mentre il capitano dei carabinieri di Susa, coadiuvato dal maresciallo Odasso, continua le indagini sul posto per l'identificazione della vittima, le ricerche proseguono anche a Torino per la scoperta dell'assassino. Secondo informazioni non ufficiali i carabinieri avrebbero già identificato la donna. Questa infatti, una venditrice ambulante, era già stata notata diverse volte a Bussoleno dal maresciallo Odasso il quale, insospettito da certi suoi atteggiamenti, aveva chiesto informazioni al Sindacato Venditori Ambulanti di Torino. Il Sindacato che suddivide i suoi iscritti a seconda delle zone e delle vallate, confermava che la donna risultava iscritta e che esercitava il commercio ambulante nella Valle di Susa. L’ipotesi che si tratti di un delitto consumato da trafficanti in stupefacenti e generi di contrabbando può ricevere conferma dalle precedenti indagini condotte dallo stesso maresciallo di Bussoleno sui clandestini che agivano da tempo netta zona. Tanto più che si ha ragione di sospettare che una donna fungesse da collegamento tra gli importatori delle droghe dalla Francia e gii spacciatori a Torino. Tutto questo potrebbe servire a completare la ricostruzione del delitto così come è stata fatta dal maresciallo Odasso. La donna, approfittando della fiera del lunedì per passare inosservata, si sarebbe recata, come altre volte, a Bussoleno e, sulla strada di Novalesa, sarebbe andata incontro ai contrabbandieri. Sarebbe quindi ritornata alla cava per incontrarsi con un complice che, per derubarla o per altro motivo, l'avrebbe uccisa. Abbiamo parlato di un complice perchè i testimoni parlano di un solo individuo. Ma non è da escludere che questi non fosse solo e il suo compagno si tenesse nascosto nelle vicinanze pronto ad intervenire.

Post Scriptum: 

Post Scriptum: 
Il 24 dicembre 1974 in una sottoscrizione di Specchio dei Tempi fu donata una somma a memoria del Maresciallo Domenico Odasso......

Il 24 giugno 1975 la moglie di Domenico Odasso donava, sempre alla memoria, una somma in solidarietà di carabinieri uccisi in una sparatoria ad Acqui

venerdì 6 luglio 2012

Le indagini del Maresciallo Odasso in Val di Susa: primavera estate del 1950. Il cadavere mummificato.

Venerdì 14 Luglio 1950 LA NUOVA STAMPA Anno VI Num. 166
Cadavere mummificato scoperto in montagna 
 
Susa, 13 luglio. Una raccapricciante scoperta è stata fatta ieri da operai che lavoravano in località Pian Rocco, sui monti del comune di Bussoleno. Essi erano intenti ad effettuare uno scavo per l'installazione di una conduttura idraulica nel rifugio dell'UET in quella località, situata a circa 1400 metti sul livello del mare, quando uno degli operai urtava con il piccone un ostacolo e nel tirarlo si avvedeva che a una delle punte dell'attrezzo era rimasto attaccato un brandello di stoffa. Messo in sospetto da questo fatto, egli dava l'allarme e si procedeva quindi a scavare con precauzione. Sotto ai cauti colpi di piccone a poco a poco si rivelava la sagoma di un corpo umano e finalmente veniva alla luce il cadavere di un uomo ormai completamente mummificato, ricoperto dai brandelli di un abito grigioverde del tipo militare. Subito avvertiti, sul posto si portavano i carabinieri di Bussoleno che, al comando del maresciallo Odasso, iniziavano le indagini. Il sopralluogo del medico legale ha accertato che la morte, dovuta a ferita d’arma da fuoco, risale a cinque sei anni. Circa le cause che hanno determinato la morte di quell’ignoto individuo a tutta primasi avanzò l’ipotesi trattarsi di una tragedia collegata ad un episodi odi espatrio clandestino di emigranti, che appunti alcuni anni fa era molto attivo nella zona. Successivamente però pare che l’Autorità inquirente esaminando attentamente i brandelli dell’abito si sia messa su un’altra traccia e sia propensa a credere che il cadavere sia quello di un militare russo che , dopo avere disertato dall’esercito nazista, si era arruolato con i partigiani operanti in valle di Susa. Dopo poco tempo però forse perchè ritenuto colpevole di spionaggio il disertaore sarebbe stato ucciso e occultato dai suoi stessi compagni. La salma è stata trasportata oggi nella  camera mortuaria del cimitero di Bussoleno. Nel frattempo continuano le indagini per fare luce sull'oscuro fatto.

 





domenica 1 luglio 2012

Albert Paquay prigioniero di guerra nel 1940

Il Campo di Prigionia Oflag VII B fu allestito nel settembre 1939 per ospitare prigionieri polacchi dopo l'invasione della Polonia da parte delle truppe tedesche. Nel mese di maggio 1940 nel campo affluirono prigionieri inglesi, francesi e belgi a seguito del trasferimento dei polacchi nell'Oflag VIIA. L'Oflag VIIB era destinato ad accogliere ufficiali ed era situato a Eichstätt, in Baviera, a circa 100 km a nord di Monaco.



Le notizie riguardanti Albert Paquay rintracciabili sul web sono scarne: originario di Sprimont, nei pressi di Liegi, fu mobilitato nel '39, quasi subito fatto prigioniero e rinchiuso nell'Oflag VIIB. Ottenne però di poter rientrare a casa, sulla parola, per terminare i suoi studi di medicina. Ottenuta l'abilitazione rientrò nello Stalag I dove ebbe modo di esercitare la professione medica, unico medico belga del campo.  Si ha notizia di una sua partecipazione nel 1984 ad una emissione della televisione belga sulla questione prigionieri di guerra, emissione al centro di furiose polemiche vuoi per l'insipienza e l'inadeguatezza del conduttore vuoi per le contestazioni dell'Associazione prigionieri di guerra belgi nei confronti dello spazio dato all'Ordine Nuovo e al revisionismo dei movimenti di estrema destra.  Di lui ancora si sa che sempre nell1984 è Direttore dell' Etablissement de Défense sociale (penitenziario) al Ministero della Giustizia a Paifve.