sabato 16 maggio 2015

Su di un libro di Anthony Cardoza



Recentemente ho preso in prestito da una delle belle biblioteche civiche torinesi un testo di Anthony Cardoza. Si tratta di "Patrizi in un mondo plebeo. La nobiltà piemontese nell'Italia liberale". Mi interessava approfondire l'argomento dopo una visita all'Archivio di via Piave durante la quale la Dott.ssa Miccoli aveva en passant accennato alla figura di Compans di Brichanteau. Appena avuto in mano il libro, molto consumato, con la sovracoperta lisa e un poco dilacerata, ho notato nella seconda pagina uno scritto a matita che riporto.

"Certo che i refusi presenti in questa edizione ne fanno una emerita porcheria, priva di serietà. Del resto, alleggerlo, risulta un ammasso di gossip e ammirate curiosità. Un lettore"

Devo dire che è la prima volta, in anni di frequentazione e prestiti alle civiche di Torino, che mi imbatto in un commento sul testo vergato sul libro stesso. Il fatto mi ha incuriosito. Innanzitutto mi ha stupito l'impellenza che deve aver costretto l'anonimo lettore a esternare il suo critico sdegno di fronte all' emerita porcheria.... Il vocabolo porcheria mi ricorda tanto i termini che usavamo negli anni 50/60 del secolo scorso, da bambini. In più la scrittura spigolosa e decisa sembrerebbe quella di una persona colta ma intransigente in massimo grado. Ho così deciso di andare a vedere se il Cardoza merita un giudizio così severo..... I commenti sulla sua figura di studioso sono vari.

Sul sito della Giulio Einaudi editore si legge:
Anthony L. Cardoza insegna Storia dell'Europa moderna alla Loyola University di Chicago. Fra i suoi scrittiAgrarian Elites and Italian Fascism (Princeton 1983), Patrizi in un mondo plebeo: la nobiltà piemontese nell'Italia liberale (Roma 1999; ed. orig. Cambridge 1997) e Benito Mussolini: The First Fascist (London 2005). 


Sul sito del Dipartimento di Storia della Loyola University di Chicago:

Anthony L. Cardoza (Ph.D., Princeton University, 1975; B.A., University of California at Davis, 1969) is Professor of History at Loyola University Chicago, where he teaches courses in Western Civilization, 20th century Europe, modern Italy, and contemporary international relations. He was Chair of the Department of History from 1999-2002 and a Visiting Professor of History at the University of Chicago in 2000.

Il suo CV è inoltre di tutto rispetto

Relativamente al contenuto del libro riporto integralmente l'analisi esauriente compiuta da Signorelli.
Le ricerche di Cardoza sulla nobiltà piemontese erano note per una serie di saggi pubblicati tra il 1988 e il 1996, anni in cui lo studio delle élites si imponeva all'attenzione del dibattito storiografico sull'Italia contemporanea. In questo volume - comparso in inglese nel 1998 - lo studioso americano riprende il tema, riorganizzando i segmenti della sua indagine in una sintesi sull'identità dell'aristocrazia piemontese, la sua evoluzione dall'antico regime al XX secolo e il suo peso politico ed economico nell'Italia liberale. In base ai dati desunti da uno spoglio massiccio degli atti successori, Cardoza delinea permanenze e mutamenti nelle scelte patrimoniali e matrimoniali dell'aristocrazia di sangue dall'Unità ai primi decenni del '900. I dati economici sono integrati con l'analisi quantitativa e qualitativa di altre fonti utili a individuare la presenza dei nobili, e il ruolo da essi svolto, in ambiti di pertinenza delle élites: circoli e collegi, esercito e corpi professionali, teatro e opere pie, corte e comitati elettorali. Ne emerge il profilo di un ceto ancorato a valori e stili di vita radicati in un passato antico intessuto di privilegi feudali, glorie militari e gestione del potere, esercitato sempre in nome di principi di fedeltà istituzionale e responsabilità sociale. Riferendosi alla tesi di Mayer sulla "persistenza dell'antico regime" fino alla prima guerra mondiale, Cardoza prende le distanze sia dalla storiografia marxista e liberale che ha concentrato l'attenzione "sui grandi fattori di cambiamento" trascurando "le forze della continuità e della tradizione", sia dai più recenti studi di storia sociale sulle élites dell'800, che hanno posto l'accento sulla vitalità delle classi medie, lasciando sullo sfondo i vecchi gruppi aristocratici, nel ruolo marginale di custodi dei valori di cui si impadroniva la borghesia in ascesa. La tesi sostenuta nel volume è che, nel caso del Piemonte, dal 1848 alla Grande Guerra la nobiltà abbia mantenuto intatta la sua influenza sociale, economica e politica, non - come nel modello di Mayer - spendendo la propria capacità egemonica sul terreno dei nuovi comportamenti borghesi, ma, al contrario, serrando i ranghi, resistendo alla fusione sociale e investendo le proprie risorse finanziarie e culturali per mantenere un ruolo centrale nella vita pubblica, pur senza diluire la propria identità modellata sul ristretto gruppo di famiglie di origine feudale. Questo schema interpretativo si sovrappone talvolta in modo un po' rigido alle analisi dei comportamenti individuali e familiari che, nella loro varietà, disegnano la morfologia di un gruppo sociale complesso. Ed è certamente questo il contributo più rilevante del lavoro di Cardoza, che, al di là della tesi di fondo, dà un quadro ricco e ben documentato della nobiltà piemontese, che sarà tanto più utile alla conoscenza dell'articolazione delle élites nell'Italia liberale, quanto più si potrà disporre di ricerche analoghe sulle aristocrazie di altre regioni.
 In realtà l'unico refuso che l'anonimo si perita di sottolineare è un "Riccado di Netro" invece del corretto "Ricardi di Netro" a pagina 72 nella nota a pié di pagina. Un pò poco per giustificare una critica così assoluta.
Le fonti e la bibliografia del libro sono dignitose e circostanziate. Il suo passaggio presso l'archivio di Stato di Torino è ancora oggi ricordato da chi a quel tempo (1987/1989) vi lavorava: lo stesso autore tiene a ringraziare per la disponibilità la responsabile di allora (Isabella Massabò Ricci) e le sue assistenti, impegnate a soddisfare le "continue e insistenti richieste di documenti" dello stesso.
Riabilitato dunqe il Cardoza possiamo concludere con un unico appunto, che esula però dal tema del libro Patrizi in un mondo plebeo.

Se vogliamo, infatti, dell'Autore possiamo solo criticare la sua firma all'infelice petizione di intellettuali americani che nel 2011 chiedevano la cancellazione dalla toponomastica di Chicago Balbo Drive, la strada dedicata a Italo Balbo e all'imponente manifestazione seguita alla grande trasvolata del 1933. Come si legge nell'articolo di Ernesto Milani ..."Che dire? Se si vuole eliminare il nome di Balbo in quanto parte attiva del regime fascista di Mussolini governo di  Mussolini, futuro alleato di Hitler, potrebbe anche andar bene. Ma che dire di Italo Balbo, apprezzato in tutti gli Stati Uniti, e mai contestato neanche dai due sindaci Daley, che si ribellò alle leggi razziali del 1938, fu in aperto contrasto con Mussolini riguardo al patto con Hitler e che proprio per questo fu costretto  ad andare in Libia dove fu abbattuto durante una ricognizione aerea (per errore?) pochi giorni dopo l’entrata in guerra nel 1940? Nonostante le poco circostanziate accuse nei confronti di balbo contenute nella petizione all’alderman di Chicago Fioretti, Italo Balbo non fu coinvolto nella creazione di campi di concentramento in Libia e soprattutto la sua morte fu salutata con rispetto e deferenza sia dagli avversari americani sia inglesi". 

(in costruzione, continua)

domenica 3 maggio 2015

Il degrado della Tomba di Massimo d'Azeglio



La tomba di famiglia dei D'Azeglio situata nella PRIMA AMPLIAZIONE ARCATA 132, nel cimitero monumentale di Torino da tempo presenta al visitatore uno squallido spettacolo di degrado e incuria. Una lastra di vetro per di più velata da uno spesso strato di polvere, protegge il visitatore dalla caduta di intonaco e dalla precarietà delle lastre sepolcrali. Si leggono a fatica i nomi, oltre a quello di Massimo, del fratello Roberto e della di lui moglie Costanza Alfieri di Sostegno. In basso, una lastra scurita dal tempo, recita la disposizione testamentaria  per cui, contenendo il tumulo 18 persone, vi possono trovar sepoltura quelle allieve dell'Istituto dal Marchese istituito per orfane, che non avessero tomba propria. I loculi si sono tutti riempiti: l'ultimo ha accolto i resti di una maestra comunale morta a 84 anni.
Nel novembre del 1940 comunque la tomba era ancora in buone condizioni se era visitata regolarmente in occasione del giorno dei defunti, dalle autorità cittadine.

Di Massimo D'Azeglio vorrei citare la frase rivolta alla moglie Luisa Blondel, accorsa al suo capezzale negli ultimi momenti di vita. "Vedi, Luisa, come al solito.... quando tu arrivi, io parto...." Non fu un matrimonio tranquillo, vuoi per la gelosia eccessiva di Luisa, vuoi per gli atteggiamenti galanti di Massimo verso le numerose fanciulle che lo circondavano Massimo comunque confessò al fratello Roberto e all'amico Tommaso Grossi che mai era stato infedele a Luisa in tutti gli anni della loro vita coniugale.


L’ultimo discendente della famiglia D'Azeglio fu Emanuele. In giro per l’Europa, bell’uomo, benvoluto da dame e damigelle, non si sposò mai e, in questo, buon gioco ebbe l’influenza materna. Molti erano gli ostacoli frapposti da Costanza al figlio, vuoi di ordine sociale, vuoi religioso, vuoi economico.

Lettera di Costanza al figlio Emanuele

18 luglio 1832 
Ti abbiamo amato molto quando eri bambino per la bontà che il tuo carattere annunciava e che sostituiva i doni della fantasia e della vivacità di spirito. Crescendo è avvenuto in te un cambiamento in negativo. La convivenza con tuo zio vi ha non poco contribuito: lui è mio fratello, ma tu sei mio figlio, e l’affetto che ho per te supera e deve superare di molto quello che nutro per lui e che mi permette di non nascondermi i suoi difetti. Lui li riscatta con molto spirito e istruzione, nonostante i quali è stato giudicato dal nostro ambiente in modo da non rendergli qui il soggiorno facile. Il mondo è un tribunale imparziale che giudica in ultima istanza: le decisioni sono irrevocabili. E’ soprattutto al debutto d’un giovane in società che lo si giudica per sempre in base alle impressioni ricevute. Sfortunato se esse sono sfavorevoli. Occorrono anni per cancellarle. L’aridità di cuore o egoismo è ciò che si perdona meno, chi non ama nessuno, non è amato da nessuno. La migliore dissimulazione e documenti è impotente a nascondere quel difetto che ogni istante rivela”

.....E’ tempo di cominciare a prendere la vita sul serio, vedi cosa ti resta di questa vita di passioni e di disordini, la salute compromessa, tanti brutti precedenti e più avanti le ragioni stesse della vita, reputazione, considerazione, carriera e fortuna messe in forse. Che triste ricompensa per tutte le nostre sollecitudini e speranze riposte in te.
(Brani tratti da "http://www.uciimtorino.it/costanzadazeglio/2_costanza_dazeglio.pdf" 

(in costruzione)